Innanzitutto, è bene precisare una cosa: la famosa “data presunta del parto” (DPP) è più un’ipotesi basata su calcoli indicativi che una scadenza scolpita nella pietra. Si parte dalla data dell’ultima mestruazione e si aggiungono 280 giorni (40 settimane), ma tutto questo presupponendo che l’ovulazione sia avvenuta al 14º giorno. Sappiamo bene, però, che il corpo umano non è un orologio svizzero: ovulazioni ritardatarie, cicli irregolari o semplicemente un piccolo margine di errore ecografico possono spostare il calendario. C’è poi il fattore “personalità del bebè”: alcuni piccoli nascono prima ancora che si riesca a mettere le ultime cose nella valigia per l’ospedale, altri si prendono tutto il tempo del mondo, magari aspettando che Marte sia in congiunzione con la Luna, come si suole ripetere seguendo antiche credenze.
Un elemento che può dirci se è arrivato il momento “giusto” è la cervice uterina. Rigida e chiusa durante tutta la gravidanza, è la parte terminale dell’utero che, verso la scadenza, inizia ad assottigliarsi per permettere il massimo della dilatazione e consentire il passaggio del bambino. Ma non sempre è collaborativa nei tempi previsti: in alcune donne, infatti, la cervice (detta anche “collo”) resta alta, dura e chiusa anche dopo la data presunta. I medici devono quindi controllare il cosiddetto “Bishop score”, un punteggio che valuta le condizioni della cervice.
Dal punto di vista medico, si parla di gravidanza oltre termine quando supera le 41 settimane. È importante sapere che molte gravidanze arrivano tranquillamente a questa fase senza problemi, specialmente se si tratta del primo figlio: il corpo della mamma e del bambino sanno il fatto loro. Solo dopo le 42 settimane si entra nel territorio della gravidanza protratta, il che richiede un po’ più di attenzione. I motivi? La placenta che inizia a dare segni di stanchezza manifestando eventualmente anche deficit funzionali, il liquido amniotico che si riduce e, di conseguenza, un rischio (comunque basso) di complicazioni. Ma niente panico: a quel punto saranno la ginecologa o il ginecologo a monitorare più frequentemente la situazione, con controlli, ecografie e tracciati; se necessario, decideranno di indurre il parto.
Cosa può succedere se il parto tarda rispetto a quanto annunciato all’inizio della gravidanza? A parte l’aumento esponenziale di messaggi tipo “Novità?”, potrebbe aumentare il peso del neonato (il che renderebbe più faticosa la fase di espulsione al momento del parto) e potrebbe venir valutato un intervento come il cesareo o l’induzione. I controlli periodici delle ultime settimane servono proprio per intervenire in tempo, in caso di necessità.
In questa fase è comunque bene che la mamma tenga le antenne dritte: se il bambino si muove meno, se c’è perdita di liquido amniotico, o se insorgono contrazioni dolorose ma irregolari che non portano da nessuna parte (la famosa fase di limbo), meglio contattare il proprio referente: servirà a togliersi tutti i dubbi che è normale insorgano e ricevere il parare di un esperto. Senza dimenticare che un parto in ritardo non è una tragedia, né una rarità. È solo l’ennesima prova che la gravidanza è un viaggio pieno di sorprese e ogni donna lo vive in maniera del tutto personale.